Sfuggenti, nevrotiche, sospese sul filo labile che divide normalità e follia, sono le “vite in prestito” dei protagonisti, nel tentativo di sottrarsi ai lati oscuri di una realtà scomoda, fonte di sofferenza. Vite anestetizzate dal lavoro, dagli impegni, dalla frenesia e, ciononostante, incomplete, alla ricerca di un senso e, soprattutto del passato, anche quando questo può sconvolgere gli equilibri faticosamente conquistati. Rosa è alla disperata ricerca di ricomposizione della sua storia anche attraverso i sogni, in cui predominano il padre e la giovane zia, entrambi scomparsi in circostanze mai del tutto chiarite. Spesso metafora delle nostre esistenze, i sogni hanno via libera quando, eludendo la rigida vigilanza dell’io cosciente, l’inconscio può finalmente manifestarsi: ciò che si è tenuto a freno, talvolta rimosso, riemerge, anche se non sempre in maniera lampante o lineare, ma attraverso frammenti di un vissuto che necessita di ulteriori tasselli affinché venga ricomposto e compreso. Giornalista insoddisfatta di un quotidiano di provincia, la protagonista del romanzo scava in un passato familiare custode di alcuni drammi irrisolti: un padre che adorava, morto nel fiore degli anni; una zia, Adele, suicidatasi (forse) a 25 anni per motivi mai rivelati, che tentare di chiarire in famiglia, è un tabu; una madre, un tempo maniaca dell’ordine, al contrario di sua figlia (che lo detesta e teme, così come i luoghi chiusi, le banalità e i congiuntivi sbagliati), ormai irreversibilmente assente, a causa dell’Alzheimer.
Completano il quadro: Alberto, un ex fidanzato medico, con moglie e bambini, ma presente quando lei chiama; un direttore cinico che le assegna compiti ingrati pur di vendere il giornale; i condomini del suo palazzo, che quasi non conosce, tranne Marisa Rocco, una “signorina di 56 anni” che vive sola con la sua gatta e dei dubbi esistenziali che, oltre a farle aprire l’altrui posta in cerca di attenzione, la condurranno verso un destino tragico. Un romanzo sulla condizione umana, in cui si evince anche la vocazione poetica dell’autrice, abilmente raccontato come un thriller psicologico, nel quale le vite apparentemente distanti dei personaggi, si intersecano, anche quando costoro non vogliono vedere, per distrazione o incapacità, le connessioni che li legano gli uni agli altri. Similitudini di vite solitarie apparentemente molto diverse, accomunate da dubbi, fobie, che stimolano domande chiave: come sarebbe stato il destino di ognuno di loro, se la correlazione con la vita degli altri fosse stata palese, se avessero comunicato? L’interazione con un altro essere umano, apparentemente distante per cultura e modus vivendi, può salvare dalla depressione e da un destino drammatico? Non è forse la consapevolezza di essere accomunati da un unico, ineluttabile destino, quella che ci dà la possibilità di trovare un motivo di sopravvivenza nella solidarietà? Non sono indifferenza e assenza, i peggiori mali dei nostri tempi? Non è la mancanza di empatia, la distrazione dal nostro prossimo, l’incapacità di comunicare, la mancanza di rispetto per l’altro, che ci rende più egoisti, sempre meno sociali? E come si è arrivati a questa cinica condizione? Dopo anni di appassionato impegno nel sociale e come docente, Claudia Iandolo, delusa dalla società attuale, esorta a riflettere sul senso della modernità, sulla cosiddetta normalità, sugli alibi che forniamo alla nostra esistenza, sui falsi valori come il denaro (“tutto è in vendita e tutto si compra”), sulle discrasie del sistema capitalistico, necessariamente da modificare, magari, seguendo i suggerimenti di Roberta Purcaro (docente, intervenuta nella discussione), sostituendo la produttività, con il più creativo concetto di laboriosità. E che dire della sete di successo o di potere, che ci distolgono dalla capacità di sentire l’altro, dalla solidarietà, dal senso stesso dell’umanità? L’autrice durante l’incontro, riferendosi a Città vecchia di Saba, a sua volta ispiratrice dell’omonima canzone di De André, ha sottolineato che l’umanità emarginata, definita dal poeta, di scarto, la più umile, è anche quella più genuina, piena e capace di amore. “Scrivere,- ha aggiunto, – è una necessità comunicativa ispirata dalle esperienze. Non ci si può arrendere: il finale, pur se amaro, di Vite in prestito, lascia spazio al bisogno di aprire alla speranza. Sta a ognuno di noi accettare la sfida, comprendere come farlo e rimboccarsi le maniche per un nuovo Rinascimento, in cui riportare al centro l’umanità”.
Appello Durante la presentazione presso il Museo civico di Ariano Irpino (AV), l’autrice ha fatto un appello a tutti coloro che volessero aiutare la famiglia di un amico bulgaro, finito in coma dopo aver tentato di difendere un cinese aggredito e ucciso nel suo negozio a Monteforte, da un nigeriano bisognoso di cure che da mesi viveva per strada ed era stato lasciato a se stesso, privato anche dei farmaci essenziali di cui necessitava. Una tragedia nella tragedia, che ha catapultato la famiglia del bulgaro, in gravi difficoltà, anche economiche. Questo l’Iban a cui si può donare: IT 12R3608105138247726447738 intestato a Tsankova Silviya Zhorova.
L’Autrice in breve Nata a Milano per caso, attualmente vive a Mercogliano (AV). Dopo essere stata combattuta tra il giornalismo e l’insegnamento, ha scelto quest’ultimo: è docente di latino e greco presso il liceo classico Virgilio di Avellino. Claudia Iandolo è autrice dei romanzi: Il paese bianco di Isidora vecchia (Ed. Mephite), Qualcuno distratto (Ed. Palomar), Vite in prestito (Ed. Saladino) e delle raccolte di poesia: Aegre (Ed. Sellino,) Alia (Ed. Tracce) e Sororità (LietoColle).
Claudia Iandolo Vite in prestito Carlo Saladino Editore Pag. 111 € 15
Floriana Mastandrea