È partita la raccolta delle firme per abrogare la legge Calderoli che spaccherebbe l’Italia in tanti staterelli “autonomi” e accrescerebbe i divari tra Nord e Sud

Breve cronistoria di una pasticciata legge spacca-Italia Mazzini, Garibaldi e altri patrioti-eroi del Risorgimento combatterono per unire l’Italia, (6.262 rimettendoci la vita), oggi le destre, capeggiate dai sedicenti “patrioti” Fratelli” d’Italia, che probabilmente del termine patriota ignorano il senso, la sfasciano!

Dopo l’approvazione in Senato del 23 gennaio (2024), il disegno di legge Calderoli sull’autonomia differenziata, che tanto stava a cuore alla Lega (un tempo Nord, poi solo Lega, contando sulla “smemoratezza” italiana, per strappare voti anche al Sud) il 19 giugno è diventato legge, con l’approvazione alla Camera, dopo un acceso dibattito e una maratona durata l’intera notte: 172 voti favorevoli, 99 voti contrari e un astenuto. Metà del gruppo di Forza Italia non l’ha votata, i leghisti, che durante la discussione in Aula il 12 giugno avevano rifiutato la bandiera italiana “proposta” a Calderoli dal deputato Donno (5 Stelle), aggredendolo violentemente, in Aula hanno agitato le bandiere regionali, dalla Serenissima di Venezia, alla Padania libera.

Salvini ha parlato di “giornata storica”, Zaia (governatore del Veneto) ha esultato, la Meloni ha parlato di “un’Italia più forte e più giusta”! Chissà che cosa intende la presidente del Consiglio: non era lei che nel 2014 sbraitava di abolire le regioni ritenendole “formidabili carrozzoni di spesa”? O in nome dell’opportunismo politico è lecito abbandonare ogni forma di coerenza? E sempre la Meloni, fino a poco tempo fa non si riempiva la bocca di “patria” e “unità nazionale”?

La legge Calderoli (n. 86 del 26/06/24, quando Mattarella l’ha promulgata) in realtà, è una cambiale politica pagata da FdI alla Lega, il frutto di un baratto tra Salvini e la Meloni, la quale ora in cambio, potrà ottenere l’approvazione della legge che tanto le sta a cuore: il premierato. Il progetto, che porterebbe all’autarchia, dando al presidente del Consiglio il potere di sciogliere le Camere, è stato tentato in Israele dal 1992 al 2001, ma nel 2002 abolito perché incapace di garantire la stabilità della maggioranza.

La legge Calderoli, che attua la riforma del Titolo V della Costituzione varata nel 2001 (da un governo di centro-sinistra, nel maldestro tentativo di contenere l’espansione federalista del leghismo), definisce in 11 articoli le procedure legislative e amministrative per l’applicazione del terzo comma dell’art.116 della Costituzione (e a seguire il 117), delimitando le intese tra lo Stato e quelle Regioni che chiedono di poter autonomamente gestire le 23 materie previste. In sintesi, le Regioni potranno chiedere e concordare con il governo la “devoluzione” di competenze e risorse pubbliche, redistribuendole verso i loro territori. Come potrà più definirsi patria o nazione, un’Italia divisa in una ventina di staterelli autonomi con sistemi scolastici diversi, sanità diverse, protezioni civili diverse e così via?

Ammesso che ci si riesca, poiché la condizione essenziale per poter applicare la legge, stando all’articolo 4, sarà la determinazione dei Lep, quei livelli essenziali di prestazioni che, seguendo i dettami costituzionali, dovranno essere equamente garantiti in tutto il Paese e per individuare i quali, il governo si è concesso due anni di tempo. Nove materie subito trasferibili, senza i Lep Se è vero che “fatta la legge, trovato l’inganno”, la legge Calderoli prevede la cessione immediata, prescindendo dai Lep, di nove (delle ventitré) materie e relative funzioni: Rapporti internazionali e con l’Unione europea, Commercio con l’estero, Organizzazione della giustizia di pace, Lavoro e vigilanza sugli ordini professionali, Casse di risparmio e aziende di credito regionali, Enti di credito fondiario e agrario regionali, Previdenza complementare e integrativa, Coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, Protezione civile. Poiché le Regioni, in aggiunta a quelli statali, istituiranno i loro enti, il rischio di duplicazioni è assicurato.

Uno studio della Fondazione Mezzogiorno, ha esaminato le oltre 180 funzioni attribuibili alle nove materie, evidenziando come si sovrapporranno: ad es., una Regione potrà promuovere i prodotti locali, gestendo accordi autonomi con partner europei e non, o creare sedi estere per l’internazionalizzazione delle imprese. Riguardo ai rapporti con l’Unione europea, ogni Regione si potrà sostituire allo Stato su materie prima di esclusiva competenza di quest’ultimo e richiedere il via libera per aiuti ad alcune filiere produttive.

La Regione che chiederà la Protezione civile potrà dotarsi di proprie strutture con vertici autonomi e possibilità di gestire appalti per forniture di materiali e macchinari (come già avviene in Sicilia), potrà altresì avere il suo piano di sicurezza, campagne di comunicazione, dei volontari e dei mezzi, promozione di studi e ricerche sulla previsione e “la prevenzione dei rischi naturali o connessi all’attività dell’uomo, fino ai criteri per individuare le zone sismiche e il processo di elaborazione delle norme tecniche per le costruzioni nelle medesime zone”.

A chi giova? Alcune risorse potranno essere trattenute sul territorio regionale: la Lombardia nelle pre-intese aveva chiesto di incamerare il gettito dell’imposta sostitutiva sui rendimenti dei fondi pensione e il Veneto, la piena autonomia su tributi regionali e tassa automobilistica. Entrambe le Regioni intendono chiedere le nove materie immediatamente trasferibili, compresa l’Organizzazione della giustizia dei giudici di pace, che equivale a gestire, a livello regionale: concorsi, assunzioni e trasferimenti dei giudici.

Luca Zaia (Veneto), il primo luglio ha scritto alla presidente del Consiglio e al ministro per le Autonomie, per chiedere le nove materie immediatamente cedibili e ha chiesto una prima indagine sulle materie della pre-intesa del 2018 legate alla fissazione dei Lep: Istruzione, Politiche del lavoro, Tutela ambientale e dell’ecosistema, Salute.

Il Piemonte, dove è stato riconfermato governatore Cirio, insieme alla Lombardia di Fontana, ha chiesto la copia della lettera, per elaborare un documento analogo: lo scopo è creare un asse delle regioni del Nord per fare massa critica sul governo. Lo stesso presidente del Veneto si è detto disposto a gemellare la sua Regione con una del Sud, per “testare insieme gli effetti dell’autonomia”. Proprio in queste ore Zaia ha detto che il Sud ha margini di crescita turistica e non solo, eccezionali, e che “un governatore appassionato del proprio territorio con più competenze avrà la possibilità di gestire la sua Regione in modo più efficace. L’autonomia, a suo dire, è: “un treno che passa una sola volta, dopodiché o la si fa per scelta o si dovrà fare per necessità”.

Intanto, il ministro per la Protezione civile e le politiche del mare, Nello Musumeci, pur dicendosi favorevole all’autonomia, ha espresso perplessità, evidenziando come sia necessario che tutte le Regioni partano dalla stessa linea, che vuol dire, accelerare sui Lep. Il passaggio di materie come la sanità e l’istruzione, potrà comportare la possibilità di fare contratti diversi per i medici e gli insegnanti, con la possibile conseguenza di sottrarli a una Regione del Sud, favorendo in tal modo l’emigrazione e il suo conseguente impoverimento di cervelli e di braccia. E mentre l’Europa lavora per essere coesa e più forte, l’Italia al contrario, va verso la frammentazione, basata su un regionalismo spinto e a geometria variabile, tanto che la stessa Commissione europea ha bocciato la riforma, evidenziandone soprattutto il pericolo di aumentare le disuguaglianze.

Anche alcuni governatori delle Regioni del Sud di centrodestra hanno protestato: Roberto Occhiuto, presidente della Calabria e vice-segretario di Forza Italia, ha parlato di un errore del centrodestra, in quanto “la norma avrebbe dovuto essere maggiormente approfondita”. Una norma che gli stessi deputati calabresi di Forza Italia non hanno votato. Anche Vito Bardi (Forza Italia), governatore della Basilicata, ha sottolineato come, invece di accelerare per la sua approvazione, il provvedimento si sarebbe dovuto migliorare e, mentre Salvini ha replicato a Occhiuto invitandolo a rileggersi il programma del centrodestra, il presidente del Consiglio regionale della Calabria, il leghista Filippo Mancuso, ha parlato di “pasticciaccio dovuto alla fretta”.

Il ministro Luca Ciriani (Rapporti con il Parlamento), di Fratelli d’Italia, in Transatlantico si è fatto scappare che difficilmente la legge entrerà in vigore poiché prima vanno finanziati i Lep. Giorgio Mulé, vice-coordinatore di Forza Italia, ha parlato di “una legge monca di pezzi fondamentali. O la completiamo, o corriamo il rischio di essere bocciati al referendum, se l’opposizione raccoglierà le firme”. Insomma, la stessa coalizione di centrodestra al governo, che a scapito di questioni più serie e urgenti che servirebbero al Paese, si è affannata ad approvare quel pasticcio di legge, non è convinta di ciò che ha approvato. Sono preoccupati costituzionalisti, vescovi, intellettuali, politici, ambientalisti, economisti, industriali, imprenditori: la legge Calderoli rischia di nuocere anche al Nord, considerando le interconnessioni economiche tra i territori.

Il segretario di Forza Italia (e ministro) Tajani, ha annunciato la nascita di un Osservatorio permanente ad evitare che le regioni del Mezzogiorno subiscano danni. È pur vero che insieme al Veneto e alla Lombardia, anche la Toscana aveva chiesto l’autonomia, tanto che nel 2018 il presidente Bonaccini (con presidente del Consiglio Gentiloni), approvò una pre-intesa per iniziare il percorso dell’autonomia e in seguito, sotto il governo Conte, chiese l’autonomia per 15 materie, ma ora si è espresso in disaccordo per com’è stata partorita. Bonaccini, oggi europarlamentare, a proposito del Ddl Calderoli, giudicato negativamente, ha precisato che la proposta avanzata nel 2018 era stata definita con tutte le parti sociali della Regione e in Consiglio regionale non aveva ricevuto voti contrari da nessun partito. Non solo: ha puntualizzato come l’accordo riguardasse solo alcune delle 23 materie trasferibili. Con l’autonomia differenziata, si rischia che le Regioni più ricche lo diventeranno ulteriormente e quelle più povere si impoveriranno ancora di più, a meno di un impeto-sprone dei loro governatori e della possibilità-capacità di spendere meglio e di più, i fondi europei e migliorare l’efficienza. Ma non è così semplice poiché, reperimento di fondi e progetti a parte, altri elementi incideranno, a cominciare dal notevole spopolamento e isolamento delle zone interne, dalla mancanza di infrastrutture e di investimenti, sebbene le ultime stime della Svimez riportino per il 2023 una crescita del PIL nel Mezzogiorno di + 1,3%. L’art.4 della legge Calderoli pone uno sbarramento rappresentato dai Lep, che, pena l’improcedibilità, dovranno essere garantiti allo stesso livello in tutto il territorio nazionale, Regioni che non chiedono la devoluzione, incluse. Paletto fondamentale per l’applicazione delle nuove norme, la proporzionalità delle risorse da destinare a ciascuna delle altre Regioni, insieme alla perequazione per i territori con minor capacità fiscale abitante. Un emendamento inserito da Forza Italia impedisce che si avviino trattative prima che siano stati individuati i Lep, ma le opposizioni temono che rimarrà solo sulla carta e che finirà per prevalere la spesa storica delle Regioni. Altro paletto, è quello del potere di veto del presidente del Consiglio, che può limitare ad alcune materie, l’oggetto della trattativa con le Regioni. Depositato il quesito referendario “Bisogna creare un sentimento unitario rivolto alla difesa dell’unità d’Italia”, ha detto Vincenzo De Luca, governatore della Campania, che vorrebbe “aprire un dibattito con i concittadini del Nord per far prevalere la ragione”, aggiungendo che: “il referendum si può evitare se si cambiano parti importanti del testo legislativo”. De Luca, oltre alla difesa della scuola, chiede l’equo riparto dei fondi per la sanità, lo stesso numero di medici e infermieri tra le Regioni in rapporto agli abitanti e precisa che, se entro due anni non saranno individuati i Lep e si procederà in base alla spesa storica, allora sarà una truffa verso il Sud. Il 5 luglio presso la Corte di Cassazione è stato depositato da Maurizio Landini, Segretario della CGIL, il quesito referendario per abrogare la riforma. Insieme a lui, oltre alla rappresentanza UIL, il presidente dell’ANPI ((Associazione Nazionale Partigiani), Pagliarulo, rappresentanti di Associazioni e Comitati, da Libera, Legambiente, Acli, Arci, WWF, CNA, Link, Demos, Unione degli Studenti, alla Rete degli Studenti Medi; costituzionalisti, da Villone ad Azzariti e Algostino; politici come Bindi e Bassanini, nonché quasi tutta l’opposizione, ricompattata: PD, Alleanza Verdi-Sinistra, Movimento 5 Stelle, Più Europa, Italia Viva. Non ha partecipato Azione (Calenda), che pure ha criticato la legge e in caso di referendum, voterebbe per la sua abolizione. Questo il quesito, totalmente abrogativo: “Volete voi che sia abrogata la legge 26 giugno 2024, n.86 “Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi dell’art.116, terzo comma, della Costituzione?”. La Corte di Cassazione deve dichiarare la legittimità del quesito entro trenta giorni, quindi la Corte Costituzionale dovrà confermarne l’ammissibilità entro il 20 gennaio 2025. Solo allora, il Governo e il Presidente della Repubblica potranno indire il referendum, da svolgersi tra il 15 aprile e il 15 giugno del 2025. Per arrivare al referendum, i promotori dovranno raccogliere almeno 500mila firme (anche tramite spid e in via digitale, tramite una piattaforma pubblica e gratuita, che dovrebbe essere operativa a breve) entro il 30 settembre. Nel contempo (non necessariamente in maniera alternativa), anche 5 Regioni (art.75 Cost.) possono farsi promotrici del referendum e della promozione del quesito (formulandone eventualmente anche uno parziale): con capofila la Campania, ci stanno lavorando la Sardegna, la Puglia, la Toscana, l’Emilia Romagna. Le Regioni inoltre, entro 60 giorni dalla pubblicazione della legge ordinaria, possono anche promuovere, ai sensi dell’art.127, questioni di legittimità costituzionale. I Comitati e l’inizio della raccolta firme Il 15 luglio, anche ad Avellino si è costituito il Comitato promotore del referendum abrogativo. Lo compongono le maggiori reti associative laiche e cattoliche che si riconoscono ne “La via maestra”: da CGIL, UIL, Partito Democratico, Movimento 5 Stelle, Sinistra Italiana, Verdi, Partito socialista, Più Europa, Italia Viva, Rifondazione Comunista, all’ANPI, ARCI, AUSER, ACLI, Libera, Legambiente, Federconsumatori, SUNIA, WWF, UDU, UDS, Coordinamento per la Democrazia Costituzionale Avellino, Acqua Bene Comune, Centro Donna, Panta Rei, Controvento, Laika, POLITES, ai movimenti studenteschi e realtà associative territoriali. Auspicando l’adesione di ulteriori forze, il Comitato ha creato un direttivo tecnico presso la CGIL di Avellino (Via Padre Paolo Manna, 25/31) per la distribuzione dei moduli per la raccolta delle firme e il raccordo delle iniziative volte a spiegare le ragioni del referendum, “ultimo strumento per contrastare e sconfiggere un progetto destinato a danneggiare l’intero Paese e creare ulteriori spaccature e disuguaglianze tra i cittadini delle diverse Regioni”. Da questo fine settimana saranno disponibili i banchetti di sottoscrizione, mentre per ulteriori informazioni è disponibile il sito: referendumautonomiadifferenziata.com È questo il momento di una grande mobilitazione generale, non solo politica, ma di ogni cittadino dotato di senso civico, delle associazioni, dei sindacati, degli organismi istituzionali e non, tutti insieme per difendere l’Italia unita e rigettare con forza un’assurda legge divisiva che alimenta la secessione dei ricchi ed è pericolosa persino per la tenuta della democrazia. E al momento del referendum, ognuno dovrà recarsi alle urne (guai a non farlo!), nella consapevolezza che il suo voto farà la differenza: sarà necessario raggiungere il quorum del 50% + 1 degli aventi diritto, perché la legge sia abrogata. È tempo di rialzare la testa, far sentire le nostre voci, firmare e andare a votare: non partecipare vuol dire delegare una minoranza a decidere (come già sta facendo) per tutti noi. Ricordiamoci che i diritti di democrazia e libertà sono costati i sacrifici di tante vite, oggi è necessario tornare ad essere partigiani, scegliere con nettezza e coraggio da che parte stare. Continua

Floriana Mastandrea

Fonti: Senato, ansa.it, corriere.it, ilsole24ore.com, lastampa.it, Ilfattoquotidiano, ilfattoquotidiano.it, wired.it, carteinregola.it, lexplain.it, avvenire.it, diritto.it, quotidiano.net, ilMattino, Lavoce.info, laRepubblica, repubblica.it, quotidianosanità.it, quotidianodelsud.it, orticalab.it, patriaindipendente.it, Domani.

Di Floriana Mastandrea

Giornalista, scrittrice, sociologa: per una società più equa, la giustizia giusta e i diritti, soprattutto per i più deboli. Combattente per indole e per necessità.