Missili, bombe, armi da fuoco e bianche, sono ormai la costante di due popoli ostili, che al dialogo preferiscono la guerra, provocando quotidianamente molte vittime innocenti e oltraggiando qualsiasi diritto umano. L’ennesima crisi tra Israeliani e Palestinesi, è scoppiata il 10 maggio scorso, dopo che a Gerusalemme est, nel quartiere di Sheikh Jarrah, decine di famiglie hanno ricevuto lo sfratto dalle proprie case, per fare spazio ai coloni israeliani. La decisione del governo israeliano, ha provocato proteste che si sono riverberate fino alla Striscia di Gaza, un fazzoletto di terra palestinese al confine tra Israele ed Egitto, nei pressi della città di Gaza. Quel conteso lembo di terra, lungo circa 40 km e largo 10, densamente popolato da quasi 2 milioni di abitanti, buona parte dei quali rifugiati palestinesi, sigillato nei confini da barriere di filo spinato e sorvegliato giorno e notte dall’esercito israeliano, è controllato da Hamas, che si autodefinisce “un movimento islamico di resistenza”. Pur consapevole della potenza dell’esercito israeliano e della sanguinosa reazione che ne sarebbe derivata (e che non ha tardato ad arrivare), Hamas, ha cominciato a lanciare razzi su Israele, rivendicando di essere stufa delle prevaricazioni contro il popolo palestinese. Gli abitanti della Striscia da decenni sono schiacciati dall’embargo imposto da Israele e dalle operazioni militari del suo esercito, tra i più potenti del mondo, soffrono per l’enorme disoccupazione e ancor più, per la mancanza di prospettive. Ora si è aggiunta anche la pandemia Covid-19: secondo Medici Senza Frontiere, mentre Israele ha vaccinato gran parte della popolazione, ad aprile era stato vaccinato solo il 5% dei Palestinesi. Ma il conflitto arabo-israeliano affonda le sue radici almeno verso la fine del diciannovesimo secolo, allorquando il territorio della Palestina, era considerato sia dal movimento sionista (Ebrei), che dal movimento nazionalista palestinese, come la propria patria storica. Negli anni Venti del Novecento, iniziò il conflitto tra Ebrei e Arabi palestinesi nel mandato britannico della Palestina (1920-1948), finché l’acme non si raggiunse nel 1948, con la proclamazione dello Stato di Israele, osteggiata da gruppi antisionisti, dai rappresentanti dei Palestinesi e dai vicini Paesi arabi. L’inasprirsi del conflitto innescò una serie di guerre arabo-israeliane: la guerra del canale di Suez del 1956, la guerra dei Sei giorni (5-10 giugno) del 1967 e quella del Kippur, del 1973. Nel corso degli anni, dopo gli accordi fra Israele ed Egitto ed Israele e Giordania, il conflitto da arabo-israeliano, si è “circoscritto” ad israelo-palestinese, focalizzandosi sulle reciproche richieste di riconoscimento di sovranità e indipendenza dello Stato di Israele e dello Stato di Palestina, proclamato nel 1988 sui territori palestinesi occupati da Israele nel 1967. Ulteriori conflitti si sono susseguiti tra Israele e organizzazioni palestinesi come l’OLP e Hamas, dalla guerra del Libano del 1982, alla prima e seconda Intifada, nonché diverse guerre nella Striscia di Gaza. Nonostante l’ONU nel 2012 abbia riconosciuto lo Stato palestinese, proseguono a intermittenza fra i due Stati, tentativi di pace e ostilità. Il conflitto in corso è stato scatenato dall’ennesima goccia di anni di vessazioni, basate su occupazione degli spazi, razzismo e apartheid contro la popolazione palestinese. Da oltre settant’anni Israele occupa illegalmente le terre palestinesi, ne segrega e umilia il popolo, nell’indifferenza internazionale, come ben sottolinea anche Moni Ovadia, attore, musicista e scrittore di cultura ebraica. In un’intervista a Fanpage.it, Ovadia non ha dubbi su come schierarsi, dalla parte dei Palestinesi, un popolo oppresso, solo e inerme, aggredito da un esercito, quello di Tel Aviv, di una superiorità soverchiante, anche se Israele finge di essere indifeso e specula sulla Shoah, per giustificare la sopraffazione: “Vogliono cacciare i Palestinesi dalle loro case, cancellare la loro identità culturale, e lo stanno facendo, forti della compiacenza di gran parte delle potenze mondiali, compresi Paesi arabi come Egitto, Giordania e Arabia Saudita. I governi USA e UE, salvo rare eccezioni, sono composti da ipocriti perché accettano il ricatto degli Israeliani sulla Shoah. Io sono Ebreo, so cosa è stata la Shoah, e per questo mi domando come si possa legittimare la politica cattiva e sadica del primo ministro Benjamin Netanyahu nei confronti dei Palestinesi. ”. Gli fa eco Suad Amiry, scrittrice palestinese, autrice di memorabili ritratti sulla situazione dei Palestinesi e degli Arabo-israeliani, che in un’intervista a Repubblica (14-5-21) chiarisce che non si tratta di un conflitto tra religioni, ebrea e mussulmana, come Netanyau vorrebbe far credere, ma per la terra, gli spazi vitali, specificando che: “questa crisi è nata perché l’esercito israeliano ha chiuso ai Palestinesi di Gerusalemme l’accesso alla città vecchia. Il Governo ha consentito agli estremisti ebrei di manifestare nei quartieri mussulmani. Cosa vi aspettavate?”. E su come potranno convivere Arabo-israeliani ed Ebrei-israeliani l’uno a fianco all’altro, Amiry risponde che finché non ci saranno veri diritti e uno Stato per i Palestinesi, sarà molto difficile. Come non concordare? La pace è indispensabile, ma non può prescindere dalla giustizia: finché gli Israeliani non si ritireranno dalle terre occupate, finché non verrà ristabilita la legalità internazionale, non si potrà iniziare nessun proficuo negoziato di pace. Bisogna che finalmente si riconoscano due Stati, palestinese e israeliano e che si rispettino reciprocamente. Israele ha sopportato la più ignobile delle onte attraverso la Shoah, ma ciò non lo legittima a vessare a sua volta un popolo che ha diritto a vivere nelle proprie terre e in pace. L’odio genera odio, la violenza ne genera altra e “giustifica” la nascita degli estremismi di entrambe le parti. Gerusalemme ha creato il Giardino dei Giusti tra le nazioni per commemorare coloro che hanno salvato tanti Ebrei dalle persecuzioni e dal genocidio: Israele faccia lo stesso con gli Stati vicini, inverta la rotta promuovendo un percorso di dialogo e di pace, che molti Israeliani stessi, peraltro esigono. Dimostri in tal modo di essere a sua volta Giusto! L’ONU e il resto del mondo, facciano la loro parte prodigandosi per la pace: questo annoso conflitto ci riguarda tutti da vicino, nessuno può ignorarlo. Come Ovadia, anche noi invochiamo giustizia per i più deboli, citando dalla Bibbia, Isaia, capitolo I, versetto 17: “Imparate a fare il bene, ricercate la giustizia, soccorrete l’oppresso, rendete giustizia all’orfano, difendete la causa della vedova”.
Floriana Mastandrea